Chi sono
Sono un pittore autodidatta moderno. Ho iniziato a dipingere sin da piccolo, stimolato da mio padre, anche lui pittore. Uso prevalentemente la tecnica a spatola, mezzo ideale per il mio stimolo creativo che nasce da un viaggio introspettivo e che mi porta a raffigurare soprattutto gli stati d'animo dell'essere umano.
La mia arte
La gestualità pittorica e la materia rivelata
La pittura di Giovanni Bellio si radica in una tensione dinamica tra gesto e materia, tra impulso creativo e rigore formale.
Cuore pulsante della sua prassi espressiva è l’impiego della spatola, strumento che egli domina con sorprendente sensibilità, elevandolo a utensile distintivo di un linguaggio pittorico fortemente identitario.
Non si tratta di un uso meramente strumentale, la spatola, nelle mani dell’artista, si evolve in prolungamento del pensiero, mezzo attraverso il quale l’energia interiore prende forma visibile e tattile.
Il segno di Bellio non è mai casuale. Ogni stesura, ogni sovrapposizione, ogni incisione nella pasta pittorica nasce da un equilibrio fra istinto e controllo. La sua manualità, lungi dall’essere precipitosa o impulsiva, si rivela come manifestazione di una lucidità creativa che rifugge tanto il compiacimento quanto l’ornamento. Il colore, steso con spatole di diversa misura, viene lavorato, graffiato, modulato, fino a raggiungere densità espressive che restituiscono all’immagine una sorprendente forza plastica e una presenza quasi scultorea. Dietro questa apparente spontaneità si cela un’attenta progettualità.
La composizione cromatica, la calibratura della luce, la costruzione dell’architettura avvengono secondo una logica pittorica coerente e rigorosa.
Bellio predilige l’utilizzo di colori acrilici, capaci di restituire una gamma di effetti tattili e luminosi che assecondano le sue esigenze espressive, senza tuttavia rinunciare alla sperimentazione con altri materiali, impasti e pigmenti, che arricchiscono la base pittorica di vibrazioni inaspettate. La coesistenza di porzioni fortemente materiche, dai bordi frastagliati e sollevati, con zone di estrema finezza, quasi calligrafiche, genera una dialettica visiva che interroga lo sguardo e lo costringe a percorrere attivamente la superficie.
Questa polifonia tecnica, che alterna mosse decise a passaggi di estrema delicatezza, testimonia la capacità dell’artista di dominare il mezzo, modulando pressione, inclinazione e ritmo della spatola per adattarsi alle esigenze formali e contenutistiche del soggetto.
La trama pittorica si converte così in un campo di forze, in un terreno vivo dove ogni segno diventa evento, ogni traccia testimonianza del passaggio dell’artista. Non si tratta di riprodurre la realtà visibile, quanto di evocare la densità emotiva del reale, la sua consistenza spirituale. In questo senso, Bellio si distanzia consapevolmente dalle correnti impressioniste o iperrealiste. La sua è una visione metamorfica, in cui la fisionomia umana, soprattutto nei ritratti, emerge come condensato di vissuto, di memoria e di emozione.
La sua pittura si pone dunque all’interno di una tradizione nobile che ha visto la spatola diventare canale d’indagine e di reinvenzione del linguaggio figurativo. Tuttavia, Bellio riesce a svincolarsi da ogni ascendenza diretta, approdando a una grammatica espressiva personale, in cui il movimento non è mai virtuosismo fine a sé stesso, ma necessità interiore, veicolo di comunicazione autentica.
Ciò che colpisce, nell’insieme della sua produzione, è la capacità di infondere alla materia pittorica un’energia vitale che non si esaurisce nella forma ma che la oltrepassa, aprendo spazi di risonanza emotiva.
L’opera si configura come crocevia tra la concretezza del colore e il riverbero profondo di un’intuizione umana. Ogni spatolata, ogni sovrapposizione di toni o di spessori diviene rivelazione di un volto, di un’emozione, di un’identità in bilico tra affermazione e dissoluzione.
Nel lavoro di Giovanni Bellio, il pigmento non copre, ma scolpisce; la superficie non si ferma a ricevere il segno, ma lo assorbe, lo modifica e lo rilancia verso l’osservatore. Ne scaturisce un’esperienza visiva che è anche
esperienza corporea, un incontro ravvicinato con la pittura come atto generativo, come evento che accade sulla tela ma si compie nella visione e nella riflessione di chi guarda ed esamina. In questa reciprocità silenziosa tra gesto e visione risiede forse la più autentica cifra della sua poetica.
Ludovica Arcieri.
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